LE "CILENTANE"

..ovvero i canti dei Cilento nella tradizione popolare...
di Giuseppe Lauriello

Scrive Strabone, un geografo romano del I sec., nella sua Periegesi , un'opera fondamentale per la conoscenza dell'allora mondo conosciuto (libro VI, par.1):"...dopo foce del fiume Sele si giunge nel territorio dei Lucani". Questa notizia viene a confermare quanto già noto e cioè che la Lucania sin dall'antichità era un territorio ben più vasto dell'attuale e comprendeva tra l'altro tutta l'area della provincia di Salemo a sud del Sele e tale rimase nella suddivisione amministrativa romana (a nord il Sele, a sud i fiumi Lao e Raganello a sud est il mar Ionio fino a Metaponto, a nord est il Bradano). Ne discende che il Cilento è stato da sempre parte integrante delle terre lucane per una serie di ragioni storiche, geografiche ed etniche, che fanno dei cilentani una stirpe dell'ethnos lucano Tanto peraltro è convalidato dall'affinità dei costumi,degli usi e del vernacolo, che molto si discostano da quelli campani e partenopei in specie.

Fulcro della cultura popolare cilentana sono i canti tradizionali tipici, che proprio dal luogo d'origine prendono il nome di "cilentane".

Le "Cilentane" sono brevi composizioni poetiche di stampo popolare, elaborate in forma dialettale e a contenuto prevalentemente amoroso, il cui schema è generalmente composto da otto versi endecasillabi, raggruppati in due strofe a rima alternata, cantate da una o più persone a secondo siano monodiche o corali, ma prevalentemente sono monodiche. Non sempre il verso é rispettoso della ritmica e della metrica., ma riesce comunque ad essere armonioso attraverso l'uso appropriato di assonanze o consonanze e l'accompagnamento di un motivo melodico tipico che si ripete identico anche se l'argomento del canto risulta diverso.

Sono arie che rientrano nelle consuetudini popolari della gente cilentane in quella letteratura poetica contadina fatta appunto di canti d'amore, di stornelli di amanti all'amata, di cantilene di donne alla conocchia e di contadini al lavoro, che dovunque, anche, se in modi diversi, hanno sempre accompagnato la fatica degli uomini nelle umili case e nelle campagne. E' una letteratura rustica, cui forse manca l'elaborazione artistica, in quanto anonima e impersonale, nel mentre l'arte è prettamente individuale, ma è proprio da tali forme culturali primeve che sono derivate tante espressioni letterarie ad alto contenuto ideale, è proprio da queste rozze rappresentazioni della realtà rurale che spesso sono emersi i germi di una poesia lirica di ben altra elevata fattura.

Le "cilentane" rientrano nel genere degli strambotti termine ripreso dal francese "estrabot" riferito a un tipo di composizioni di carattere burlesco e scherzoso declamate e cantate dai trouvières provenzali, quei trovatori di lingua d'oc, che in terra di Francia celebravano l'amore di castello in castello e di corte in corte nei secoli XI e XII.  

In realtà la patria riconosciuta dello strambotto è la Sicilia del XIII sec., dove compare nell'ambito della poesia dialettale indigena, nobilitata alla corte di Federico II e poi di Manfredi. In questo raffinato centro di cultura che fu la corte sveva, lo strambotto si ingentilisce, senza perdere però il legame con i motivi popolari. Assume il nome di "contrasto", cioè di componimento poetico dialogato, ritrovando il suo migliore interprete in Cielo d'Alcamo, questo misterioso poeta della "Rosa fresca,aulentissitna, c'appari in ver l'estate...", identificato ora in un giullare campano ora addirittura in uno studente siciliano della Scuola medica di Salerno. Sono ipotesi che inducono una serie di riflessioni sui rapporti non solo politici, ma anche culturali tra gli isolani e la nostra gente, tanto più se si tiene presente che questa scuola poetica non annoverava soltanto membri siciliani tra le sue fila, ma anche poeti del meridione con le proprie peculiarità dialettali e i propri stati d'animo. Basta citare Rinaldo d'Aquino, fedele al trobar clus dei Provenzali e nativo di Montella nell'Avellinese per sottolineare ancora una volta il collegamento tra Provenza, Sicilia e Campania. Ma tornando a Cielo d'Alcamo, proprio per essere esponente di questa scuola di poesia, che grandeggiava agli albori della nostra letteratura, potrebbe costui rappresentare un suggestivo collegamento, un punto di saldatura tra la colta poesia provenzale e la poesia di tradizione popolare nostrana. E' risaputo d'altronde che i modelli della scuola siciliana sono per l'appunto i trovatori provenzali, progenitori e maestri di tutta la lirica occidentale.

Lo strambotto siciliano intanto migra per le terre di Italia e in forma più illustre ed elegante giunge in Toscana, dove va ad alimentare la scuola poetica dei Giuttone d'Arezzo, sua diretta discendente e dove, configurata come "rispetto", assume una forma più sciolta e ricercata. Ed è proprio nel corso di questa migrazione che raggiunge anche il Cilento, dove si dispiega in un'espressione più rustica, semplice, forse più cruda ma non per questo meno originale e vigorosa.

Le "Cilentane" sono state cantate fino ad alcuni decenni or sono in versi poetici dialettali sottesi a un tipico motivo musicale ll'occorrenza di feste di conviti, di Celebrazioni, ma soprattutto in esternazioni amorose espresse sotto le finestre della donna amata in forma di "serenate"

Le "serenate" per l'appunto, sono canti d'amore o di omaggio rivolti all' innammorata al suono di uno strumento a corda, una chitarra o un mandolino, tenuti al chiaro di luna o nel silenzio di una notte serena, quando il cielo appare di un bel blu stellato, e quando più adatte sono le condizioni per creare un'atmosfera suggestiva di trepida tenerezza o di sensuale passione. Sono espressioni struggenti, semplici nella struttura, enunciate secondo il vocabolario tipico del Cilento con improvvisazioni svagate e fantasie rustiche, ma ricche di ispirazione artistica, incorniciate m una languida cantilena, che si reitera attraverso immagini spontanee e autentiche, cariche di efficacia e di forza, con metafore intense,che richiamano l'ambiente di vita naturale e la quotidianità contadina, ma senza eccessi od enfasi. Il fascino della "serenata" risiede proprio in questo appuntamento serale, l'unico possibile per rivolgersi alla ragazza del cuore, visto clie il rigido codice comportamentale vigente nella società campagnola, non consente incontri confidenziali tra amanti.  

Attraverso questi messaggi quindi portati sotto la finestra,il giovane esterna i suoi moti del cuore, i suoi sentimenti, le sue confidenze a colei che dietro le imposte sosta in trepido ascolto e che, a sua volta, sa intelligentemente recepire e tradurre.

"Oh! Quanta vote tu mme fai venire
sotto sta fenestella a suspirare.
M'hai fatto cunzumare lu suspiro,
ma nun te sì vuluta mai affacciare.

Te preo,bella, affacciate na vota,
ca chesta pena te voglio cantare.
Si nun t'affacci, tu mme fai murire
E si io moro, chi te pote amare?"

Le espressioni d'amore però non sempre sono manifestazioni di ossequio, di tenerezza, di ammirazione; possono essere anche parole di sdegno, di risentimento di disprezzo, allorchè la donna nega il proprio consenso alle profferte o addirittura si presenta sussiegosa, ingrata o traditrice:

"Zoria, ca l'hai fatto lu uaragno,
t'a juto a nnammurá re nu caruogno.
Si truovi a lu cangià, vàttelo cangía,
nun te lu purtà appriesso ca è breogna.

Guardàllo buono cj'è come nu rango,
tène la capo soa chiena re corna.
Lo può purtà a la fera re li rangi,
ca te la fa la grazia la maronna."

Gli esempi sono numerosi, ma appesantirebbero il testo e se ne risparmia il lettore. Però, pure se le "serenate" sono veri pezzi di storia del costume cilentano immolati sull'ara del progresso, restano molti brani raccolti pazientemente da alcuni ricercatori (Giuseppe Mollo, Antonio Orlando, Donato Bruno e altri), che li hanno tratti dalla viva voce di vecchi paesani dell'entroterra, residue memorie viventi del passato di una civiltà contadina, dei cui valori dovremmo essere fieri custodi, tanto più oggi, divorati dall'avanzante, nefasta globalizzazione, che altro non è se non l'affermazione globale di una cultura forte sulle tradizioni etniche minori, perché essi sono le nostre radici, il nostro retaggio, il nostro patrimonio autentico e inalienabile. Quanto di "mediterraneo" ssista nella poetica rusticana del Cilento, potrebbe essere ravvisato nell'accostamento che segue e tanto non per voler cercare riferimenti paradossali, ma solo per far risaltare come a sentimenti consimili possano corrispondere immagini sovrapponibili anche se a livelli temporali e qualitativi molto d istanti tra loro. Ascoltate questa "cilentana"  

"Nun è ricco lu Re ccu li surdati,
nun è ricco lu mare ccu tante onne.
Sulo si po' chiamà ricco e beato
Chiru ca po' gorè sta bella ronna."

Ed ecco un frammento di Saffo celebre poetessa greca del VII sec. a.C.:

"C'è chi dice che sulla terra nera
la cosa più bella sia un esercito
di cavalieri, chi di soldati,
altri di navi. lo invece credo
che sia chi di cui uno è innamorato."

Ma le "cilentane" non sempre sono tenerezza e amore, di cui sottolineare la forza e la suggestione delle immagmi e degli accostamenti, il colore di alcune situazioni ove ovviamente il femminino risulta preponderante. Va rimarcato anche come a volte accanto al sentimento,al desiderio, all'eccitazioni amorose, ricorrano pure allusioni un po forti,motteggi acuti e graffianti, che riportano alla memoria quell "italum acetum " con cui Orazio definiva lo spirito pungente e salace dei popoli meridionali, di quegli osci di cui lucani e cilentani sono diretti discendenti e il cui nome rimane ancor oggi, guarda caso, nell'etimologia di osceno:

"Aggio saputo ca roie sore siti
e tutt'e ddoie a na càmara vuie stati
e tutt'e ddoie a no líetto vule rurmiti
come re me ca mai ve nn'è pietate.

E le lenzola ca 'ncuollo teniti
so' tutte chiene re neve ghiacciata
e io so' fuoco si mine n'ce vuliti,
mmiezzo me metto e vuie ve cagliendati"

Non solo amore quindi nelle "cilentane". ma anche arguzia, salacità, non solo trepidazione,pene del cuore, passione, ma anche causticità,sensualità, evocazioni pungenti e farsesche, che nostri antenati, gli osci , ci hanno trasmesso nel codice genetico. Anche questo fa parte del nostro patrimonio letterario, che è pur sempre un modo di interpretare l'amore. il sentimento, gli stati d'animo, gli impulsi, il nostro modo in fondo di percorrere i sentieri dell'anima e aprirci al mondo.